Marco Labate – La Sibilla Aspromontana
Nelle vallate dell’Aspromonte viveva un tempo una Sibilla, indovina di sconfinata sapienza e inenarrabile bellezza. Da lei gli uomini avevano appreso l’arte della navigazione, le donne quella della lievitazione: conosceva infatti l’uso del timone e le tecniche più efficaci per l’armatura ed il varo delle imbarcazioni e aveva gelosamente custodito il segreto dell’uso del lievito madre finché una giovane allieva, di nome Maria, non gliene aveva sottratto furtivamente un panetto, nascondendolo sotto un’ascella, per donarlo alla madre Anna e, tramite lei, a tutta l’umanità.
In ragione della sua immensa cultura, la Sibilla era certa di meritare di essere la madre di Gesù, il Salvatore, di cui aveva previsto l’imminente nascita; ma quando la stessa Maria le raccontò di aver sognato che un raggio di sole la attraversava da destra verso sinistra, le certezze della Sibilla crollarono inesorabilmente. Per diventare Carne, il Verbo Eterno aveva scelto l’umiltà e la purezza a dispetto di una sapienza profonda ma tracotante. La Sibilla si infuriò per il torto subito e, accecata dall’ira, ordinò alle allieve di buttare nel fuoco tutti i libri che avevano ricevuto in dono da lei. Soltanto Maria non obbedì e nascose sotto il braccio un codicillo grazie al quale l’arte della scrittura fu salva per i secoli a venire. Con il passare del tempo, la Sibilla divenne arida e malvagia e le fanciulle del posto smisero di frequentarla; quando venne a sapere che Maria aveva dato alla luce il figlio di Dio, si disperò e pianse, cercando conforto in Marco, il quale partì alla ricerca di Gesù e, trovatolo, lo colpì sulla guancia con la propria destra che fu per tale motivo mutata in una mazza di ferro. A causa di questo oltraggio, i due fratelli furono condannati a vivere per l’eternità nel loro castello, del quale ormai si sono perse le tracce ma da dove, nei giorni di cattivo tempo, giungono ovunque, per le valli d’Aspromonte, i gemiti disperati della profetessa ed i colpi ostinati di suo fratello contro le grate di ferro che sbarrano le finestre.
Proprio di fronte al castello della Sibilla, nella valle di Polsi, venne eretto e si staglia ancora oggi, in onore di Maria, un santuario oggetto di sentitissimo culto e frequentissimi pellegrinaggi: al suo interno, l’effigie della Madonna rimane perennemente rivolta verso la dimora della sua rivale senza mai distoglierne lo sguardo se non in occasione della sua uscita in processione: soltanto allora, ogni anno, al momento del rientro in Chiesa, la Vergine volge le spalle alla sua antica maestra, seppur per rapidissimo tratto: il cielo si ricopre di nubi dense e scure e l’aria sembra riecheggiare di foschi lamenti.
La Sibilla Aspromontana di Marco Labate intende suggerire un possibile lieto fine per questa triste storia: conserva nel vuoto della cavità addominale la cicatrice e l’oltraggio della mancata maternità ma ha recuperato dalle fiamme dell’oblio i suoi codici, dai quali per un attimo solleva gli occhi volgendo uno sguardo finalmente benevolo verso la divina abitatrice del Santuario di Polsi; deposto il rancore millenario, ha ripreso i suoi studi ma adesso sa di non poter essere sola e ricerca in Maria le tracce di quella divina folgorazione senza la quale, ha ben compreso, la vera essenza della Natura è destinata a rimanere oscura e impenetrabile.
Bio
Marco Labate (Reggio Calabria, 1989) ha iniziato la propria formazione presso il Liceo Artistico Mattia Preti di Reggio Calabria, per poi approdare all’Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria, dove ha conseguito la laurea triennale di primo livello in pittura ed è attualmente prossimo a conseguire la laurea magistrale in decorazione.
La sua attività artistica si muove principalmente in ambito pittorico e decorativo, alla ricerca di percorsi espressivi originali svolti, prevalentemente in chiave narrativa, con l’obiettivo di riportare alla luce quel singolare intreccio di storia e miti, splendori e lacerazioni che, dall’antichità ai tempi attuali, hanno percorso ed identificato il territorio magnogreco.
Accanto alla partecipazione a numerosissime mostre collettive, si segnalano le sue personali di pittura presso la Chiesa di Santa Caterina a Noto (2019) e presso il Mercato Vecchio di Ortigia
– Siracusa (2019) e, ancora, l’esposizione-performance Pandemia presso il Castello Aragonese di Reggio Calabria, in occasione del 3o evento Derive Festival (2020), in collaborazione con Cinzia Palumbo.
Dal 2017 al 2019 ha partecipato all’Infiorata di Noto in qualità di mastro infioratore.
Nel 2010 alcune sue opere sono state scelte per la realizzazione delle scenografie del cortometraggio-remake La dolce vita di M. Trovato; nello stesso anno è stato selezionato da Telethon per la realizzazione di una tela sul tema Marevivo e nel 2016 ha ricevuto la menzione speciale sezione ordinaria Accademia di Belle Arti con l’opera Centauromachia, nell’ambito del Premio Internazionale Lìmen Arte V ed. 2015-2016, sez. Giovani artisti italiani e stranieri a cura di L. Caccia, indetto dalla Camera di Commercio di Vibo Valentia.
È presente con alcuni suoi lavori sul Catalogo Il corpo del mito, a cura di Giuseppe Oreste Surace (Armenio Editore SRL, Brolo 2019), sul Catalogo Artefizio, a cura di Marcello Francolini e Francesco Finotti (Città del Sole Edizioni, Reggio Calabria, 2022) e sulla rivista Art
Now, promotore di creatività (num. I, anno IV, Gennaio/ Febbraio 2021, p. 167), periodico d’arte, diretto da Sandro Serradifalco.