Guardando l’opera di Teresa Ribuffo, si percepisce immediatamente una delicata sensibilità. Un’arte aggraziata e diretta allo stesso tempo, capace di trasmettere con estrema semplicità “mondi” di bellezza e purezza estetica. È un’arte che travolge e coinvolge, un’arte fatta di minuzie e di oggetti unici: piccole stoffe, abitini di bambole, accessori da neonato, tutti elementi che sottolineano la fragilità di un istante, elementi appunto “appesi ad un filo” impressi su tele di vario formato. Ma se proviamo a scavare sui contenuti celati, ci accorgiamo che le opere camuffano una moltitudine di significati. Ed è proprio questo che colpisce nelle opere della Ribuffo, la fortissima contrapposizione tra raffinatezza e argomenti trattati. Le tematiche di carattere sociale indagano cause ed effetti del nostro quotidiano contemporaneo, sfiorando le questioni spesso “scomode” e ignorate dal grande pubblico riguardanti il femminicidio, la pedofilia, la violenza domestica, i diritti dell’infanzia ecc. Accostandosi dunque alla forte esigenza di dare uno sguardo profondo alla nostra collettività, la Ribuffo ci mostra tutto questo con personalissima intimità, ponendosi di fronte al mondo come un’artista che sostiene responsabilità sociale nell’arte. Un eccellente esempio è I Love You, un audio installazione presentata nell’autunno del 2013 nel sito Archeologico Ipogeo di Piazza Italia a Reggio Calabria. I Love you nasce da una riflessione sui femminicidi nel mondo. Utilizzando come medium un velo da sposa, l’artista dedica la sua installazione a tutte quelle donne, a quelle “spose” che non hanno il coraggio di abbandonare una situazione dolorosa, a tutte quelle donne deluse, logorate da un amore privo di serenità, a tutte quelle donne imprigionate nel loro stesso amore. I Love you è un sogno infranto, è un amore violento, ferito, malato, che si consuma all’interno delle mura domestiche. Il velo stesso, bianco, colore del lutto in oriente quindi simbologia in tal caso di tragicità, è il colore che diventerà il filo conduttore del lavoro dell’artista. Il bianco è altamente concettuale, è simbolo di purezza ma drammatico allo stesso tempo, sottolinea appunto la crudeltà degli eventi, le atrocità del mondo contemporaneo. Non è un colore invasivo e favorisce all’osservatore una maggiore libertà interpretativa. Il bianco diventa protagonista del ciclo “Panni stesi”, la primissima serie realizzata, che utilizza come mezzo i vestiti; indumenti che poi cambieranno a seconda dei contesti in cui l’artista opera (un chiaro esempio è la sua mostra personale “Retratos Andaluces”, in cui l’artista realizza le sue opere utilizzando i vestiti tipici del paese durante un soggiorno in Spagna). Panni stesi, racchiude in sè il ricordo, la memoria, i gesti semplici e quotidiani. Per la quarta edizione del FaceFestival saranno proprio le piccole tele della serie ad arricchire le location del fortino di Arghillà. In occasione della seconda giornata della manifestazione, l’artista ritornando al tema sociale, rappresenterà Stop Bombing Gaza, una performance dai tratti dolorosi che tratterà appunto l’imminente questione tra palestinesi ed israeliani. Dal punto di vista formale le opere trasudano un’immensa femminilità; i materiali utilizzati, questi “microcosmi” leggeri e raffinatissimi, rimandano a visioni immaginarie e complesse, ma allo stesso tempo sono espressione di una solidità rassicurante. Le sue opere conducono alla meditazione ed anche a un senso di responsabilità; la calma e la serenità che trasmettono sono le stesse caratteristiche interiori a cui è chiamato chi li sta osservando. Il risultato che ne deriva è un affascinante e personale lavoro, in grado di suscitare una profonda riflessione sui dettagli della società. La forza espressiva di queste opere sta proprio nella loro capacità di sorprendere, di lasciare col fiato sospeso: la semplicità diventa lo strumento di indagine per individuare qualcosa che sta ben oltre l’apparenza, che utilizza la fragilità per far sottendere l’orecchio e i sensi a un messaggio latente, appena sussurato, di ricerca dell’essenza delle cose.
Alessandra Gattuso