Alla fine del 1585 Giordano Bruno è a Parigi e scrive (vi risparmio i lunghi titoli in latino… ) alcune opere filosofiche con una unica linea conduttrice, la diffusione capillare dell’“arte” e dei princìpi esoterici a essa sottintesi… Anzi, Bruno diventa sempre più “scoperto” e manifesto nelle sue intenzioni “rivoluzionarie”. Insomma, il nolano non fa differenze tra cattolici e protestanti, ma tra uomini aperti alle nuove conoscenze, alla tanto vagheggiata unità, e quelli protesi alle “chiusure accademiche”, disposti sempre a trovare differenze e contrasti, per questo tendenti alla prevaricazione e alla guerra … Le conseguenze sono le solite: deve fuggire.
Certamente non intendo creare un “gemellaggio” Nola/Reggio Calabria e parlare di Bruno é probabilmente solo pretesto per parlare di arte… e di FACE, cioè spazio mentale e spazio fisico della creatività . Credo che la città abbia bisogno di entrambi gli aspetti:
– creativi, cioè persone propositive, sensibili ai fenomeni e non stereotipati
– spazi, cioè luoghi deputati, dignitosi e non banalizzanti.
Ma questa è un’altra storia… aspetteremo tempi migliori. Parafrasando Bruno direi che Reggio abbia bisogno semplicemente di uomini coesi e aperti al nuovo e non abbia bisogno di indici puntati a rimarcare differenze e contrasti.
Per questi motivi vorrei mostrarvi gli “zoccoli” di Giuseppe Bonaccorso, quali semplici simboli di non identificazione.
Dovremo fuggire anche noi per sopravvivere?
Ninni Donato
Giuseppe Bonaccorso vive e lavora, ormai da lungo tempo, a Reggio Calabria. Ha frequentato il Liceo Artistico e completato il suo ciclo di studi All’accademia di Belle Arti di Reggio Calabria.
Il suo lavoro, attraverso uno stile che dichiaratamente ricalca le caratteristiche dell’oggetto della sua ricerca, offre al lettore un ricco quadro di accostamenti che tiene insieme spezzoni di opere del passato così come del presente. Il tutto mescolando “saggistica” e citazione ma superando entrambe.
“Nel suo lavoro la “corporazione” non ha presa ipnotica sull’immaginazione. Ciò che intende è.” (cit. A. Pellicanò)